Oggi vi presentiamo un’intervista un po’ diversa, a una delle figure più esperte a livello clinico e scientifico della neuropsicologia in Italia. Vi ricordiamo che per vedere da vicino MindLenses Professional, di cui parleremo nell’intervista, si può prenotare un incontro qui. Questo, invece, è il link per iscriversi alla nostra newsletter e rimanere aggiornati sulle novità dal mondo delle nuove tecnologie per la riabilitazione cognitiva e delle neuroscienze applicate alla pratica clinica.
Gabriella Bottini è una figura chiave del mondo della neurologia e della neuropsicologia in Italia.
Medico neurologo, Professore Ordinario di Neuropsicologia Clinica e Forense e Riabilitazione Cognitiva all’Università di Pavia, dove dirige il Cognitive and Forensic Neuropsychology Lab e il Neuroscience and Society Lab, è inoltre responsabile del Centro di Neuropsicologia Cognitiva presso l’ospedale milanese ASST – Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano – gruppo che, come vedremo in seguito, qui in Restorative conosciamo bene!
È esperta di disturbi neurocognitivi – si è occupata, in particolare, della riabilitazione cognitiva in seguito a ictus – e di demenze.
La Prof. Bottini è membro del Comitato Scientifico di Restorative Neurotechnologies, un organismo imparziale composto da medici e scienziati di prestigio internazionale preposto a consigliare la nostra azienda ed esprimere pareri su tutte le iniziative che riguardano le attività scientifiche dietro i nostri prodotti.
Abbiamo contattato la Professoressa per farci raccontare la sua opinione non solo su MindLenses Professional, ma soprattutto su cosa sta accadendo nel mondo delle terapie innovative nel campo della neurologia, della neuropsicologia e della riabilitazione neurocognitiva nello specifico.
Prof. Bottini, approfittiamo della sua disponibilità per porle una questione terminologica e “domanda ancestrale” su cui, a volte, si fa un po’ di confusione. Ci può spiegare una volta per tutte la differenza tra riabilitazione neurologica e riabilitazione cognitiva?
Penso che quello della distinzione tra riabilitazione neurologica e riabilitazione cognitiva sia un dilemma semantico che va superato. La riabilitazione delle lesioni cerebrali, di qualsiasi origine esse siano, richiede un approccio complesso di intervento sia sulle funzioni sensori-motorie sia cognitive. Una volta assunto questo approccio, la differenza cessa di essere veramente significativa.
Secondo lei, è corretto affermare che la riabilitazione cognitiva è un po’ come la “fisioterapia per la mente”?
Apprezzo le metafore esplicative e non rifiuto questo accostamento. Lo uso spesso io stessa per spiegare ai miei pazienti che cosa si intende per la riabilitazione dei processi cognitivi che riguardano, per esempio, l’attenzione e la memoria.
I suoi pazienti (o i loro caregiver) sono consapevoli a che cosa ci si riferisce quando si parla loro di “funzioni cognitive”? Oppure ha l’impressione che l’aspetto “cognitivo” sia meno noto rispetto al “neurologico”?
È vero che, generale, la riabilitazione del movimento o anche di aspetti della percezione (per esempio riuscire a seguire con lo sguardo un target in movimento) sono più semplici da comprendere. Riuscire a spiegare che, per esempio, anche la memoria ha bisogno di esercizio è certamente più complesso. In generale, però, direi che si comincia a essere più sensibili al fatto che bisogna essere efficienti in modo globale, anche con le proprie funzioni strategiche. Il significato di “cognitivo” inteso come un aggettivo che ha a che fare con la possibilità di vivere al meglio la vita senza incontrare difficoltà di adattamento deve ancora entrare nella cultura quotidiana.
Parliamo di neurosviluppo. È corretto parlare di “riabilitazione cognitiva” per quelle condizioni-spettro come l’ADHD o i DSA?

Certo. I disturbi dell’apprendimento o dell’attenzione sono caratterizzati anche da deficit più specifici di singole funzioni cognitive, come per esempio la memoria a breve termine o l’attenzione in alcune delle sue componenti. Quindi, pensare a una riabilitazione cognitiva di queste funzioni mi sembra più che appropriato.
Lei ha una lunghissima esperienza nel campo della riabilitazione cognitiva. Ci sono stati, in questi anni, delle tecnologie o degli avanzamenti clinico-scientifici che l’hanno particolarmente entusiasmata?
Sì. Uno di questo è la possibilità di accompagnare alla riabilitazione cognitiva così detta “classica”, ovvero comportamentale [dove il paziente svolge esercizi senza l’applicazione di stimolazioni esterne, ndr], strumenti anche di facile applicazione, come la neuromodulazione tramite lenti prismatiche e la stimolazione cerebrale. Queste tecniche hanno aperto uno scenario completamente nuovo che coniuga l’approccio clinico a quello della ricerca, affrontata con una metodologia rigorosa e moderna.
Nella sua esperienza clinica, quali sono gli aspetti più cruciali per la buona riuscita di un percorso terapeutico di riabilitazione cognitiva, in particolare per il post-ictus?
Quello cui accennavo prima: l’uso di una metodologia che pur rispettando i canoni classici della riabilitazione clinica, ovvero l’applicazione di protocolli standardizzati, non dimentichi l’importanza di percorsi sperimentali ad hoc, per verificare ipotesi nuove di trattamento anche nelle forme acute, come la fase immediata post-ictus cerebrale.
Ci può parlare brevemente dell’importanza dell’intervento precoce di riabilitazione cognitiva anche in fase acuta post-ictus? Si può fare riabilitazione cognitiva in stroke unit?
Non solo si può, ma si dovrebbe sempre. Si deve pensare a un trattamento cognitivo nella fase acuta post-ictus, perché alcuni deficit cognitivi, per esempio le alterazioni dell’esplorazione dello spazio e della rappresentazione del proprio corpo, tipicamente condizionano il quadro clinico nella fase immediatamente dopo l’evento. Ignorare la loro presenza e posticipare la fase di riabilitazione a un “più in là” indefinito può gravemente compromettere le capacità di recupero delle autonomie funzionali.
L’Ospedale Niguarda, dove Lei lavora, è la sede di uno studio che vede MindLenses Professional utilizzato nell’intervento sul Mild Cognitive Impairment (o disturbo cognitivo lieve), che sappiamo può essere un prodromo di forme di demenze come l’Alzheimer. Può raccontarci cosa la appassiona di più riguardo a questo progetto?
Questo progetto è interessantissimo perché utilizza la riabilitazione digitale con MindLenses accanto alla riabilitazione comportamentale mirata che svolgiamo con gli exer-games [una tipologia di esercizi basati su tecnologie che rilevano i movimenti del corpo e aiutano il paziente a correggerli grazie al feedback visivo, ndr]. Ma ancor più interessante dal punto di vista scientifico è che l’approccio digitale esplora un’ipotesi neurofisiologica del tutto nuova. L’adattamento prismatico contenuto nel protocollo clinico di Mindlenses è una tecnica tipicamente utilizzata per la stimolazione dei sistemi neurali che controllano la percezione, l’esplorazione e la rappresentazione dello spazio. In questo caso, ipotizziamo che la stessa tecnica riesca a stimolare anche i sistemi neurali responsabili del controllo dell’interazione tra memoria e attenzione, che purtroppo vengono compromessi nelle prime fasi del deterioramento cognitivo. Questo per me, è un tipico esempio nel quale l’approccio sperimentale di un percorso “standardizzato” può dare risultati davvero efficaci.
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Ringraziamo la Professoressa Bottini per la sua disponibilità. Ricordiamo che per saperne di più su MindLenses Professional è possibile prendere un appuntamento qui.